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NOTA DELL’AUTORE E NOTA DI REGIA

 

Quest’ultimo mio testo teatrale dal titolo “Cesare Baronio e l’Oratorio Filippino del XVI secolo”, mi è stato commissionato da Padre Edoardo Cerrato Procuratore Generale della Confederazione degli Oratoriani, perché venga rappresentato durante l’anno 2007, in seno ai festeggiamenti per la Commemorazione del Quarto Centenario dalla morte del Venerabile Cardinale Cesare Baronio.

Ambientato principalmente nella Casa e nella Chiesa degli Oratoriani di Santa Maria in Vallicella a Roma, questo lavoro, è stato da me espressamente arricchito di annotazioni registiche e di didascalie drammaturgiche, per dare a chi, dopo di me dovesse metterlo in scena, l’opportunità di ricreare un autentico Oratorio Filippino del XVI secolo. Un’operazione analoga la feci tre anni fà quando, dietro richiesta del Rettore Padre Casimiro Przydatek della Compagnia di Gesù, scrissi “Stanislao Kostka e il Teatro Gesuitico del XVI secolo”, ambientato, quella volta, nell’antico noviziato e nella Chiesa dei Gesuiti di Sant’Andrea al Quirinale, sempre a Roma, andato poi in scena anche in Vaticano.

In ogni caso, io personalmente, questa mia proposta la considero un omaggio all’”Uomo Baronio”, una figura straordinaria; una persona autentica, generosa, pura d’animo, particolarmente sensibile alle vicende umane.

Quest’atto unico, come ogni rappresentazione teatrale, è fiction, naturalmente, un teatro gestuale e un teatro musicale, oltre che teatro di parola, con scene di atmosfere e rievocazioni oniriche; una pièce scritta per essere rappresentata ovunque, sia in spazi teatrali che in spazi non convenzionali, come antichi palazzi, ville, chiese, musei, con le loro scenografie architettoniche naturali.

La bibliografia e le note incluse in questo dramma, come in tutte le mie precedenti opere teatrali riguardanti biografie di personaggi storici, che ho scritto da quaranta anni ad oggi, sono il risultato di una lunga e scrupolosa ricerca negli archivi e nelle biblioteche d’Italia e d’Europa.

Il mio compito, comunque, come ho sempre dichiarato in ogni mio scritto che abbia riguardato appunto la vita di personaggi storici, non è quello del critico, del teologo o del filosofo, dello storico o dello storico dell’arte, ma semplicemente quello dell’uomo di teatro, incline a frugare nelle più recondite pieghe dell’animo umano, minatore nelle cave dei sentimenti, approdato per la tenace ricerca, dentro quella miniera inesauribile che furono certamente, in questo caso, il cuore e la mente di Cesare Baronio. 

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Questo spettacolo che va in scena in occasione dei festeggiamenti per il IV Centenario della morte del Card. Cesare Baronio, tenta di riprodurre la formula del teatro in vigore in Italia e in Inghilterra nella seconda metà del XVI secolo. Quindi ripropone l’”Oratorio”, un teatro religioso, fondato da Filippo Neri insieme a Giovanni Pierluigi da Palestrina nel 1564 allo scopo di riunire attraverso esibizioni vocali e musicali, laici e preti, ricchi e poveri, giovani e anziani (con Ancina, Dieni, Riccio, Bozio, Talpa e Antonio Gallonio), ma anche un po’ il “Teatro Gesuitico”, un teatro sacro, quello della ‘ratio studiorum’, sorto appena qualche anno prima, per partecipare al piano pedagogico-didattico della Compagnia di Gesù (con Stefonio, Dubreuil, Balde,  Sarbiewski e Andrea Pozzo) e il “Teatro Elisabettiano”, un teatro laico, nato a Corte nel 1558 durante il regno di Elisabetta I, una fusione di motivi della tradizione popolare medievale con elementi colti rinascimentali (con Marlowe, Kyd, Heywood e William Shakespeare).

Allora, come accadeva nel Cinquecento, anche qui oggi, assisteremo ad un teatro prevalentemente di parola, con interventi musicali e con la partecipazione attiva del pubblico, disposto come attorno ad un’arena circolare.

  

Alberto Macchi

 


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